Rassegna stampa

Di seguito l’articolo pubblicato da il quotidiano LA PROVINCIA con un’intervista al nostro presidente, Riccardo Riva sulla questione canale di Suez.

Non è ancora allarme, ma la crisi nel Mar Rosso anche in senso commerciale si sta facendo sentire e rischia di impattare sulle supply chain internazionali, con forti coinvolgimenti per il commercio da e verso l’Italia visto che da Suez passa il 40% del nostro interscambio via mare per un valore di oltre 150 miliardi di euro. Evitare il Canale di Suez e circumnavigare l’Africa significa percorrere 9 mila chilometri in più (e oltre una settimana di viaggio aggiuntiva) per raggiungere i porti europei: crescono le difficoltà in termini di aumenti di costi e forti ritardi nelle consegne per le aziende che importano ed esportano migliora invece il business per chi trasporta. In un Paese come l’Italia, grande importatore di materie prime ed elettronica, c’è preoccupazione sia perché, al solito, l’impatto finale delle crisi internazionali va a finire sulle tasche dei consumatori. Ne parliamo con Riccardo Riva, spedizioniere internazionale titolare di Fischer&Rechsteiner Company.

Che ricadute sta producendo la nuova crisi sui suoi clienti?

Nell’immediato i nostri clienti risentono dell’allungamento dei tempi di transito e dell’aumento delle tariffe di destinazione, il che è molto significativo, visto che si è fatto uno studio indicativo di oltre il 30% e un aumento di costi dei noli marittimi. A livello generale si ricorda il rischio di perdita di rilevanza strategica del Mediterraneo e quindi dei porti italiani, con aggravamenti su quelli di Trieste e quelli dell’Adriatico quali Venezia e Trieste e quelli della costa occidentale di Libano, Israele, Egitto e altri scali minori come quello di Pireo Greco: tutti i porti oggi si trovano in una zona di estremo alea con fluttuazione delle navi, che ora sono convogliate a navigare l’Africa e quindi, quando possibile, ritardano l’entrata nel Mediterraneo.

Che rincari si aspetta?

Abbiamo notato che le alcune tratte sono cresciute fra le tre e le cinque settimane rispetto a un paio di mesi fa, e non è finita, sono fioriti moltissimi porti che non ricordo che siano comparsi solamente alla metà degli incrementi folli che avevamo riscontrato durante il Covid.

Che scelte faranno le imprese?

Dipende dai flussi di merce. Se parliamo di importazione, vediamo che l’allungamento dei tempi di consegna rispetto alle necessità  di mantenere i ritmi produttivi prefissati è molto negativo. L’aumento dei tempi di consegna che viaggiano sui 20-25 giorni e aumenti nei tempi comportano che le aziende non riescono a manovrare le schede sulla fornitura della consegna. Le compagnie marittime stanno totalmente rivoluzionando la tipologia delle loro navi, che devono essere fornite sia per moltiplicando i tempi di transito di ogni singola nave per tutte le navi in circolazione. Inoltre le compagnie marittime hanno necessità di ridurre al minimo indispensabile lo stazionamento dei container nei porti di arrivo, il free-time, il tempo in cui la merce ha a disposizione il container per le normali operazioni di sdoganamento e scarico. La riduzione del free-time serve ad aumentare il turnover dei container.

Sulla riorganizzazione ha insegnato qualcosa l’evento del 2021 quando la portacontainer Ever Given si era incagliata a Suez?

Da quell’evento forse un po’ di esperienza in più l’abbiamo maturata, ma l’esito della situazione è sempre molto dalla durata della crisi. Per ora di fatto io vedo che solo alle prese con molti grossi di trasporti e ritardi importanti e imprevisti su navi. Le ripercussioni riguardano la disponibilità dei container, ma per quelli in esportazione i problemi per le nostre aziende è che ha più di essere impattato di più e chi importa. La scorsa settimana abbiamo assistito alcune aziende straniere che avevano urgenza di approvvigionamento che non hanno risolto per settimane, e maturano la spedizione da marittima ad aerea. E sono stati anche molto più ravvicinati con navi di navi cinesi e asiatici. Sono dinamiche che un operatore logistico deve saper affrontare in modo da offrire all’azienda soluzioni alternative all’azienda esportatrice e consulenze. Ma in una situazione molto mutevole, abbiamo incontri quasi quotidiani sia in presenza che da remoto con le compagnie marittime, che devono riuscire a quadrare le diverse istanze.

In che misura questo sta impattando sua attività?

L’impatto operativo è molto forte ed è tornato simile a quello del periodo Covid, quando c’era scarsità di container, costi impazziti per i noli, offerte completamente al di fuori dalla norma e non una questione di calcoli ma solo di numeri di merce da caricare e poi su navi. Una compagnia riesce a fornire movimenti scarti totale al 100% il transito in Mar Rosso e quindi per quanto riguarda la movimentazione nell’Atlantico entrerà nel Mediterraneo toccando solo il porto di Barcellona, dove scaricano i container destinati ai vari porti originariamente previsti nel Mediterraneo che organizzano navi di dimensioni per le lunghe tratte locali di navi Genova, Spezia, Savona, Gioia Tauro per quanto riguarda l’Italia. Altro esempio sono i porti di Suez, dove le navi non sbarcano i carichi, allungando notevolmente i percorsi e costi maggiori.